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#cronachedispogliatoio #ilicic
Ti insegnano che il controllo è tutto: se metti giù il pallone nel modo giusto sei già orientato per la giocata. E tu la controllavi come pochi al mondo quella palla. Poi, all’improvviso, ti accorgi che è proprio il controllo che ti manca. Non ti tiene più la testa. Va dove vuole lei. Rotola come fosse una palla in discesa in un sentiero di montagna. Avevi avuto delle avvisaglie a Firenze a dire il vero, a causa dei linfonodi del collo. Succede qualcosa di paradossale. Nel momento più alto tuo e della storia dell’Atalanta, con i quattro gol al Valencia, quando ti senti un EROE, i quarti di finale di Champions League, la città vive il momento più difficile della sua storia.
Il covid, il silenzio, le bare, la famiglia lontana in Slovenia bloccata per il lockdown. Un ossimoro. E quel senso di guerra ti entra dentro e ti divora, anche perché ti ricorda la tua infanzia. Finisci in ospedale: depressione acuta, nemmeno i farmaci riescono a rimetterti in piedi velocemente. Ricordo che lo studio post-partita di Sky Sport era iniziato in quel match contro il Valencia con Paolo Condò che diceva: “Ma perché non si può considerare Ilicic per il Pallone d’oro?”. E invece tu, uno dei migliori calciatori della stagione a livello mondiale, improvvisamente ti ritrovi con i problemi dell’uomo comune. Hai paura. Ti domina la paura. Non riesci ad alzarti dal letto. Tu che hai fatto finte per una vita intera, non puoi più far finta. E allora è inevitabile premere il tasto pausa. Un tasto pausa che egoisticamente ci permette di rivedere quel che sei stato.